La non Buona Novella
Capita alle volte che ci si voglia, o debba, sfogare per qulcosa del quale non ne capiabo il bisogno. Non ne capiamo l'origine, e la ragione. Avviene dunque che in testa per secondi vari si mastica l'incipit. E che per sfogarsi, poi, basti anche poco. Un foglio di carta e una penna sarebbero piu' che necessari. Ma il capir dopo cosa risulta un'impresa titanica. Mentre accanto a me, sempre nella bibiolteca di Jura, c'è qualcuno che guarda le donne nude, è a questo che voglio arrivare. L'esser nudi e generare, dal frutto perduto e amaro, un tormento vago e lungo che si protrae per l'eternità. Ma lei non saprá mai chi tu sia. E ti capita di vederla, per la seconda volta, soltanto in fotografia. Ma lei é giá grande. Sui tre anni circa. E pensi che sia bella. Che non sia tua. Che soltanto sia madre, che è lei che l'ha cresciuta. E parlo di un pensiero amaro. Come già scritto. Un pensiero andato. Nel tempo perduto, ed usato a noia. Sprecato con l'inutile senza dovizia. Facendo muscoli sulle tastiere dure e vecchie. Pensando al gelo che si ha di fuori. E dover uscire comporta un obblogo al quale ci si deve attenere, per non morire in spazi privi d'aria. Ed asserire ai compiti natalizi. Ma i più non capiranno. E non potranno mai. Che la storia gli é ignota, e di una figlia, non hai mai sentito. E cosí rimane. E sará un mistero, novizia invernale, primizia infantile.
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